29/06/16

Il Dio del Nulla: viaggio alle origini del monoteismo

«Quando San Paolo vide il nulla, allora vide Dio» (1)
«Sarebbe sin troppo facile constatare che, se per ipotesi, potessimo leggere qualunque testo dell’Antico Testamento senza doverlo inquadrare nella tradizione religiosa che ce lo ha trasmesso come Sacra Scrittura (...) con tutta probabilità dovremmo onestamente ammettere che nessuna sua pagina suppone una concezione monoteistica della divinità» (2).

Esiste piuttosto, secondo l’autore - docente di esegesi dell’Antico Testamento alla Pontificia Università Gregoriana - un approccio «per così dire sistematico, o confessionale, che procede a un’interpretazione del testo che deve rientrare necessariamente in un quadro monoteista» (3); vale a dire che esiste una diffusa lettura fideistica che “trova” nel testo biblico il monoteismo che vuole trovarci, anche se nessuna sua pagina implichi che esso ci sia effettivamente.

Abbiamo già ipotizzato in precedenza (4) che nella Bibbia ebraica, a fronte di una monolatrìa (5) evidente, non sia affatto certa la presenza di un effettivo monoteismo; come ha sostenuto Carlo Enzo, noto biblista, «il monoteismo si forma negli ambiti della filosofia e della teologia, estranei alla mentalità biblica» (6). Questo aspetto, ovviamente molto dibattuto, ci porta ad ipotizzare che il presunto monoteismo biblico, nel senso a noi oggi noto, non sia insito nel testo, ma derivi da interpretazioni più tarde e diverse da quelle originali degli estensori giudaici.

Da Platone a Filone
Per approfondire la ricerca dovremmo riferirci in particolare all’interpretazione di Filone di Alessandria (15 a.C.-45 d.C. c.ca) - un filosofo ebreo di lingua e mentalità ellenistica - che elaborò l’idea di una “fusione” tra il lògos della tradizione platonica e l’Elohim biblico. Da questa fusione emerse l’effettiva ideazione di un unico principio creatore, sulla scorta dell’ente “unico” già delineato da Senofane (7) e da Platone; qui troviamo il concetto di universo come unico «per analogia col modello, che è uno» (8).
La proposta di Filone fu un tentativo di «conciliazione tra misticismo orientale e razionalità occidentale» (9), perseguito con una metodologia interpretativa greca, che «costituisce un avvenimento di portata eccezionale (...) in quanto inaugura quell’alleanza tra fede biblica e ragione filosofica ellenica, che era destinata a avere così larga fortuna con la diffusione del verbo cristiano, e dalla quale dovevano scaturire le categorie del pensiero dei secoli successivi. Con Filone, insomma, (...) comincia, in un certo senso, la storia della filosofia cristiana, e dunque “europea”» (10).

Il filosofo interpretò il contenuto della Torah, in particolare della Genesi, seguendo le tracce del Timeo platoniano; «per Platone tutto ciò che è sensibile, in quanto è diveniente, è soggetto a generazione e quindi richiede una causa. Ebbene, Filone non può fare a meno di notare che il titolo del libro che sta commentando è proprio quello di Genesi e ne deduce, pertanto, che l’argomento di cui tratta deve necessariamente conformarsi al suddetto principio platonico (...) Da questo accostamento Filone non tanto traeva la certezza della esistenza di Dio, quanto la certezza del fatto che esiste una creazione e che il Creatore è trascendente rispetto al creato» (11).
Ma sul concetto di “creazione” è necessario soffemarsi per notare che «il capitolo che apre la Bibbia ebraica sembra presupporre una massa informe dalla quale sono stati creati i cieli e la terra» (12).
Non vi compare dunque quella creatio ex nihilo della tradizione successiva, diventata poi un dogma indiscutibile del cristianesimo (13), condiviso anche dagli altri monoteismi, che contribuisce a rinforzare ideologicamente la caratteristica trascendente di Dio, quanto piuttosto l’affermazione che la realtà esistente è tale per successive separazioni determinate in una caotica materia multiforme preesistente.

Secondo Filone, così come in precedenza per Platone, «[Dio] non rifiutò di trasmettere l’eccellenza della propria natura a una entità che di per sé non aveva nulla di bello (...) era priva di ordine (...) e [che] accolse in sé ordine, qualità, vitalità, omogeneità, identità, armonia, concordanza, tutto ciò che reca le caratteristiche del modello più elevato» (14). Dio era immaginato come un ente che metteva ordine nel caos originario, informe, caotico, disarmonico, ma antecedente l’opera divina.

Tuttavia accanto al processo ordinatorio della materia preesistente, un accenno all’idea che la creazione avvenne “dal nulla” si trova anche in Filone: «In effetti, la tensione fra queste due alternative può considerarsi quasi una costante del pensiero filoniano (...) [ma] un celebre passo del De deo (...) sembra esprimere esplicitamente la tesi della creazione ex nihilo della materia» (15).

In altre parole Filone supererebbe i maestri greci - il condizionale è d’obbligo vista l’eseguità dell’accenno - lasciando loro l’affermazione “dal nulla nulla si crea” per andare oltre, verso l’ideazione di una creazione pura. In realtà sia nel filosofo alessandrino che in altri testi giudaico-ellenistici (16) persistevano entrambe le alternative, a conferma di una elaborazione concettuale tutt’altro che compiuta.

Quando dunque la creatio ex nihilo si affermò risolutamente nelle scritture religiose?

La creazione “dal nulla”


Correttamente è stato detto che «non c’è luogo, né della Bibbia ebraica né della versione greca del Nuovo Testamento, in cui si usi questa espressione. Basta studiare la grande dogmatica cattolica per constatare come fu in realtà estremamente difficile addurre la cosiddetta prova testuale per questa dottrina, e a quali e quanti sofismi dovette ricorrere l’esegesi a tal fine» (17).

Né l’ebraismo (18) né il cristianesimo degli inizi erano dunque interessati ad una precisa definizione della creazione, anche se ciò può apparire strano ad un lettore contemporaneo. In effetti, «fino alla metà del II secolo, la Chiesa cristiana primitiva non manifestava alcun interesse per qualsiasi dottrina specifica della creazione del mondo» (19).

Ma il discorso cambia radicalmente se si analizza più da vicino la teologia cristiana del periodo immediatamente successivo; è in questi ambienti culturali che si comincia a discuterne, attorno al 160 d.C., «per effetto degli stimolanti interrogativi posti dallo gnosticismo. Gli gnostici davano molta importanza alle questioni del “perché” e del “come” il mondo sia stato creato (...) poi, la complessa evoluzione del dibattito che ebbe luogo nella Chiesa cristiana primitiva tra gli gnostici e i loro avversari (con un intero spettro di posizioni intermedie) condusse alla formulazione di una chiara dottrina sulla creazione dal nulla negli scritti di Basilide (...) [il quale] propose che al principio ci fosse soltanto il puro e ineffabile Nulla (...) [e] rifiut[ò] assolutamente l’idea che Dio operi come un artigiano o un artista umano servendosi dei materiali disponibili per forgiare l’universo (...) In capo a poco tempo il modello rivale fu considerato inconciliabile con il concetto biblico (...) [e] la creazione ex nihilo fu adottata come dottrina fondamentale» (20).

Quello cristiano sembra essere stato dunque l’ambito culturale in cui si superò definitivamente l’idea di un demiurgo armonizzatore del caos e si consolidò l’idea che Dio fosse il creatore di tutto ciò che esiste, sia di natura materiale che spirituale: il concetto di Nulla originario aveva fatto la sua comparsa nella storia delle idee e il creatore del “tutto” non può che essere, più chiaramente di quanto fino a quel momento sostenuto, uno, unico, universale (21) e trascendente in senso assoluto il creato.

Se ipotizziamo perciò che la creatio ex nihilo sia la formulazione ideologica che definisce Dio, con maggior precisione, come il puro Spirito assoluto della teologia dovremmo individuare proprio in questa concettualizzazione il momento originario di un vero e proprio monoteismo, che nascerebbe quindi come “cultura del nulla”. Paradossalmente dovremmo sostenere, scontrandoci con l’intera cultura religiosa degli ultimi venti secoli, che il monoteismo non è affatto un tema di origine ebraica, ma un’ideazione originariamente cristiana, per quanto sicuramente in debito con la monolatrìa giudaica.

L’astrazione del pensiero

Se la creatio ex nihilo non è enunciata nelle fonti bibliche che cosa c’è esattamente nel testo redatto secoli prima del cristianesimo?

Come già gli storici, anche i teologi oggi ammettono che nella Torah la materia sembra essere increata e Dio sembra essere realmente “creatore” solo quando conferisce alla materia inerte quel mistero che chiamiamo “vita”. Leggiamo la precisazione formulata da Karol Wojtila: «Parlando della materia non vivificata, l’autore biblico adopera differenti predicati, come ‘separò’, ‘chiamò’, ‘fece’, ‘pose’. Parlando invece degli esseri dotati di vita usa i termini ‘creò’ e ‘benedisse’» (22). L’atto creativo vero e proprio sembra perciò attenere alla vita, non alla materia inorganica, anche in una lettura strettamente teologica del testo biblico.

Si potrebbe perciò ipotizzare che l’improvviso inizio della vita, rispetto alla problematica definizione di essere-non-essere del feto, determinava anticamente domande impellenti sull’essere umano, suscitate da irrisolte questioni sia sull’origine della vita che sulla differenza tra vita umana e vita animale; domande cui sono state poi date risposte mitologiche, redatte con maggiore o minore fantasia, ma pur sempre radicate nel ricordo cosciente di attività umane.

Il “divino” aveva così assunto gli aspetti antropomorfici che conosciamo: la Grande Dea Madre (23) precedente la rivoluzione neolitica, quando la donna era ritenuta sola ed autonoma creatrice di vita perché non era stato fatto il nesso causale tra rapporto sessuale e gravidanza e più tardi il Dio Padre (24) quando, comprendendo quel nesso, si ritenne che fosse l’uomo a determinare la vita dentro un corpo femminile recettivo, ma sostanzialmente inerte: basti ricordare che secondo Aristotele «il contributo femminile è quello della materia, per sua natura passiva, con cui la donna si identifica; l’apporto maschile invece è quello attivo e creatore dell’uomo, che è forma e spirito» (25).

In definitiva si potrebbero seguire le orme di Feuerbach - “la fede nell’esistenza di un qualsiasi dio è un antropomorfismo, una proiezione assolutamente umana” - ma, più esattamente, dovremmo affermare invece che la fede in un dio sarebbe un antropomorfismo se l’elaborazione concettuale non fosse giunta al pensiero di una “creazione dal nulla”. Immaginare un Dio creatore della materia inanimata sfugge infatti a qualsiasi esperienza cui riferirsi; nessun essere umano può creare dal nulla una pietra: né genitori che procreano, né l’artigiano o l’artista che danno forma a materia già esistente.
Ma, si dice, Dio può farlo, Dio lo ha fatto. La risposta teologica va dunque oltre l’antropomorfismo, verso l’astrazione più completa: «la parola nulla è un concetto astratto, una creazione mentale che fa un pensiero che deriva dalla perdita del rapporto con la realtà» (26).

Ed è un concetto che ha trovato nelle successive speculazioni mistiche l’ambiente culturale più adatto per svilupparsi in linee di pensiero affascinanti quanto complesse.

La mistica

«Il mistico è colui che si occupa di ciò che è velato e nascosto, e in primo luogo, colui che ha la consapevolezza che l’apparenza delle cose cela una luce più profonda e remota» (27). Esiste quindi, forse da sempre, un ambito di riflessione diffuso in ogni cultura che si propone di indagare al di là della percezione cosciente del reale. Sia chiaro però che il misticismo è sempre stato nella storia un ambito prevalentemente religioso (28), il cui scopo era quello di individuare il modo per tendere a Dio, fino ad una vera e propria unio mystica tra umano e divino.

Ciononostante un noto specialista degli studi sul misticismo, Marco Vannini, ritiene che nel caso della tradizione ebraica non si possa parlare di mistica nel senso proprio del termine: «All’ebraismo - scrive - manca il concetto stesso di spirito, che conosce solo in senso mitico come “soffio” divino, o in senso biologico come “alito”, respiro dell’uomo e dell’animale. In effetti gli manca anche il concetto di anima, almeno nel senso greco che è giunto fino a noi attraverso il cristianesimo, per cui la sua antropologia è essenzialmente biologica, vitalistica, materialistica: “carne” e “vita” sono appunto i termini principali per indicare l’uomo (...) È evidente che pensare a una mistica senza i concetti di anima e soprattutto di spirito è del tutto impossibile. Ciò è confermato in pieno anche dall’impianto fondamentale della religione ebraica che è una religione del dualismo: dualismo Dio-mondo (29), innanzitutto, e da quello il dualismo sacro-profano (...) Sotto questo aspetto proprio il contrario della mistica è il resultato dell’ebraismo: religione che non coglie la divinità dell’Uno-Tutto, ma al contrario determina positivamente il sacro in questa o quella cosa, opponendola al profano» (30).

In modo simile, anche se il rapporto che lega la mistica alla religione islamica appare più complesso, «l’islamismo ripropone il concetto ebraico dell’assoluta trascendenza di Dio e dunque la distanza infinita tra Dio e l’uomo, per cui non ha senso nell’islamismo ortodosso parlare di unità spirituale Dio-uomo» (31).

In poche parole solo l’idea cristiana di incarnazione porterebbe a immaginare quell’unità uomo-Dio, l’Uno-Tutto, propria della vera mistica: «con Gesù compare qualcosa di radicalmente nuovo e inaudito: un uomo che afferma l’identità con Dio (...) ed è abbastanza normale pensare che quello che vale per l’uomo Gesù possa e debba valere anche per ogni singolo uomo» (32).

Questa conclusione potrebbe essere discutibile, ma quello che qui ci preme evidenziare è che, nonostante tutto, si parla ormai diffusamente di mistica islamica così come, a partire dai primi studi di Gershom Scholem (33), si parla anche di mistica ebraica.

La mistica ebraica: note storiche

Con questa espressione si usa definire un movimento che si è sviluppato nell’arco di quindici-venti secoli all’interno di una più vasta tradizione culturale, ben poco dogmatica e priva di una autorità teologica centralizzata; libero perciò di esprimersi in molte correnti diverse ed in tendenze divergenti anche all’interno di una stessa corrente. Cronologicamente se ne individuano in primis alcune forme esoteriche di epoca talmudica anche se, in questo periodo, le speculazioni mistiche ancora «non contenevano una specifica teoria etica né nuove concezioni della natura dell’uomo» (34), rispetto alla concezione biblica.

Una forma particolare di pietismo chiamato Chassidismo (da ḥassìd, devoto) si sviluppò in ambito tedesco nel XII secolo, dopo i diffusi pogrom antiebraici dei crociati e quasi contemporaneamente ebbe inizio la forma più significativa del misticismo ebraico, la Qabbalah (35) nata in Provenza «negli stessi luoghi e negli stessi tempi in cui [era] presente e predominante il catarismo» (36) con cui i cabalisti ebbero provati contatti. Successivamente la Qabbalah ebbe la sua maggior fioritura nel XIII secolo, nella Spagna musulmana della tollerante dinastia omayyade, dove fu sensibilmente influenzata anche dagli ambienti del sufismo islamico.

Nel XVI secolo si sviluppò in Galilea una significativa forma cabalistica, detta “luriana” (dal suo fondatore, Yitzchàq Luria) che elaborò un’originale ipotesi creazionistica fondata sulla “ritrazione” (tzimtzum) di Dio in se stesso, finalizzata a rendere concettualmente possibile uno spazio vuoto - torna un’idea di “nulla” - cioè non occupato dal divino infinito dove la materia “finita” potesse formarsi (37). Questa è stata considerata l’ultima tendenza mistica capace di affermarsi uniformemente in tutte le disseminate comunità ebraiche; essa, dopo la catastrofe dell’espulsione degli ebrei dalla Spagna, «come mai in passato assunse un carattere sociale e quasi politico» (38) per l’insito contenuto messianico e liberatorio.

Alla metà del Seicento iniziò il dramma del “falso messia”, il mistico Sabbatay Zevi di Smirne, in Turchia - in realtà un personaggio con palesi problematiche psichiche - accolto con entusiasmo molto diffuso fra le masse ebraiche (39), terminato bruscamente dopo pochi anni per l’apostasia del protagonista, convertitosi all’Islàm dopo un inflessibile diktat del Sultano di Istanbul.

Alla fine del XVIII secolo si sviluppò infine tra Ucraina, Polonia e Lituania, un’ultima forma di pietismo ascetico conosciuto con lo stesso nome di Chassidismo (40) del movimento medievale, anche se ciò non comporta una effettiva continuità di contenuti. Tale movimento tardo fu, a differenza della Qabbalah, controverso e marginale, per quanto non irrilevante, ed esplicitamente avversato dal rabbinismo tradizionalista (41). Opportuno evidenziare che «la [sua] dipendenza decisiva dalla tradizione mistica cristiana è innegabile» (42). Ne vedremo meglio in seguito alcuni aspetti.

Tutte queste correnti, lontane fra loro, hanno avuto un tessuto connettivo di fondo, ma hanno anche veicolato contenuti antropologici sensibilmente diversi. È su questi aspetti che riteniamo interessante proseguire la ricerca.

Dalla creatio ex-nihilo all’identificazione di Dio con il Nulla stesso


Per comprendere gli sviluppi della mistica ebraica è necessario ripercorrere la storia del “nulla”, ricordando che questo concetto non ha sempre avuto, anche nell’ebraismo, lo stesso senso. L’innovativa ideazione di creazione “dal nulla”, elaborata come abbiamo visto negli ambiti teologici cristiani del II secolo, aveva caratteristiche originali sue proprie: «“creazione dal nulla” è espressione chiave di una concezione che si è sviluppata in consapevole, anzi provocatoria, contrapposizione rispetto a tutte le precedenti interpretazioni del momento creativo» (43).

L’Islàm, come l’ebraismo, ha mantenuto a lungo espressioni ambivalenti in merito; si trovano sia detti coranici che affermano una creazione da materia preesistente (44) che affermazioni sulla creazione “dal nulla”, prima nei testi di al-Kindi (45) nel IX secolo e, infine, con chiarezza, del maestro sufi al-Ghazali nell’XI secolo (46).

Nella teologia ebraica essa fu accettata solo più tardi, a partire dagli scritti di Saadya Gaon (47) nel X secolo. Da quel momento sia i teologi che i mistici della Qabbalah fecero propria l’idea che «l’intera catena dell’essere risiede nella transizione da ayin a yesh (dal nulla all’essere)» (48).

In seguito alla prima idea di creatio ex nihilo si sviluppò una particolare speculazione che troviamo attestata nei secoli successivi. Scrive Gershom Scholem: «Mentre la formula della libera creazione dal nulla [da parte di Dio] si diffonde e viene generalmente accolta, si sviluppa però anche il processo della sua reinterpretazione mistica (...) La creazione dal nulla, così come riaffiora costantemente nelle tradizioni mistiche, è la creazione da Dio stesso (...) Il nulla che la creazione presuppone è Dio stesso (...) L’idea che Dio sia il nulla, costituisce certamente una delle formulazioni più paradossali espresse dalla concezione mistica di Dio» (49).

Si tratta di quella particolare elaborazione concettuale che costituisce, se così possiamo dire, il punto d’arrivo di una teologia definita “negativa”, che rifiutava la possibilità di definire Dio per ciò che esso è, essendo egli, veniva detto, ineffabile, ciò che non si può esprimere adeguatamente: quindi indicibile, inesprimibile, indescrivibile. Dio poteva essere perciò definito solo a partire da ciò che “non è”, perché al contrario «la pretesa di comprendere Dio equivarrebbe alla pretesa di comprendere l’incomprensibile» (50).

La teologia negativa risale alla tradizione neoplatonica (51) e da qui, in particolare da Proclo, si ritiene che derivino le conclusioni dello Pseudo Dionigi Areopagita (52) che alcuni ritengono essere stato «il primo ad identificare con il nulla l’abisso della divinità» (53). Ma, secondo Scholem, in realtà «proprio questo è il passo che lo Pseudo Dionigi (...) non compie» (54).

L’idea dell’identificazione di Dio con il Nulla sembra essere dunque una concettualizzazione ancora più tarda, anche se originata in un terreno concettuale già ampiamente “dissodato” dagli ambienti speculativi del primo cristianesimo; secondo Scholem: «soltanto a partire dal IX secolo, ovvero dopo che la dottrina della creazione dal nulla si era affermata nella sua precisa formulazione (...) noi troviamo inspiegabilemente la nuova concezione sia nelle fonti islamiche (...) che in quelle cristiane» (55). All’origine della sua diffusione medievale «la fonte più singolare (...) è costituita dalla cosiddetta Teologia di Aristotele, una sinossi araba di importanti testi esemplari del patrimonio ideale neoplatonico (...) È dunque qui che si compie per la prima volta, all’interno di un orizzonte neoplatonico, tale reinterpretazione» (56). che in seguito si diffuse «dal IX secolo in poi, in alcuni testi ismailiti della gnosi islamica» (57). L’identificazione di Dio con il Nulla si sarebbe quindi formata compiutamente nel mondo arabo, ma quasi negli stessi anni Giovanni Scoto Eriugena «per primo introduceva tale concezione nell’ambito della riflessione cristiana» (58) e la sorprendente contemporaneità potrebbe indicare che a monte c’era forse una fonte unica, condivisa dai due ambiti religiosi.

Solo secoli dopo che si era affermata sia nell’Islàm che nella cristianità, l’idea che identificava Dio con il Nulla, fu accolta infine anche nella mistica ebraica, ultimo ambito religioso a farla propria, per essere poi «sostenuta nel XIII secolo dai cabbalisti spagnoli» (59).

La Qabbalah

Nel più significativo testo cabalistico, il Sefer ha Zòhar (60), «la parola ebraica per “nulla”, ayin, ha le stesse consonanti di anì, “io” (...) in quanto quindi l’ayin diventa anì, il Nulla [di Dio] nell’atto della progressiva manifestazione del suo contenuto (...) da ultimo si trasforma nell’Io» (61). La creazione avviene dunque, anche nella Qabbalah, dal Nulla all’Essere; idea, come abbiamo visto, non nuova (62) né, tantomeno, evidenza di una particolare originalità del pensiero ebraico medievale.
Ma «questo misterioso Nulla (...) rappresenta, se così posso esprimermi - scrive ancora Scholem - l’abisso che è visibile nella manchevolezza di ogni essere. Cabbalisti (...) insegnano che in ogni cambiamento della realtà, in ogni mutamento di forme, in ogni transizione di una cosa da uno stato ad un altro, questo abisso del Nulla viene nuovamente attraversato e si manifesta in un momento mistico» (63). E approfondisce il senso del “nulla” cabalistico: «Il discorso mistico circa la creazione dal nulla che si è qui esaminato, ha conosciuto un’ulteriore declinazione, a cui ci dobbiamo conclusivamente riportare. I cabbalisti accolsero secondo una prospettiva del tutto originale la dottrina aristotelica dei tre principi dell’essere. Ogni cosa consta, diceva Aristotele, di materia, forma e non-essere. Questo terzo principio, la steresis, significa: non tutto ciò che una cosa per sua natura può diventare, è già. C’è una serie, una sequenza delle forme, e ogni forma realizza qualcosa di ciò che la materia può diventare. Non tutto può diventare tutto. Un pezzo di legno non può diventare ferro, ma certo può diventare un’asse (...) così, in ogni cosa, al di là della sua materia e della forma in essa già realizzata, è nascosta anche la forma non realizzata. Questo è quanto s’intende nel discorso aristotelico sulla privazione. Ma i cabbalisti hanno concepito questo non-essere appunto come quel nulla che si nasconde nell’intimo di ogni cosa (64). Là dove le forme mutano in materia, cioè in ogni processo vitale: in questa trasformazione insorge sempre il nulla. Un abisso si apre insieme al darsi di ogni qualcosa» (65).

E, continua Scholem, «nessun essere è completo, ma ciascuno è per sua natura spezzato e incompiuto. È dunque, dalla sempre rinnovata relazione con il nulla che origina l’ininterrotta creazione, il sempre rinnovato miracolo del principio. Il mistico, però, e in particolar modo colui che prega, “riconduce ogni cosa al suo nulla”, la fa risalire alla vera radice del suo essere che è piantata nel nulla divino» (66).
A questo punto risulta davvero problematico capire se nella Qabbalah “il nulla nell’intimo di ogni cosa” atteneva ad un concetto di essere-in-potenza - come sembrerebbe - cioè ad un’assenza di compiutezza, una carenza di essere non declinata in termini ontologicamente assoluti, ma propria di ogni processo trasformativo o creativo, oppure se, al contrario, il mistico ricondurre ogni cosa al nulla allude ad un’idea di voler affermare la vera essenza di ogni cosa in un “nulla” originario, svuotando l’essere di ogni senso proprio ed entrando così in conflitto con il classico dualismo cosmologico della tradizione ebraica (Dio c’è, lassù, ma anche l’essere umano c’è, quaggiù, nella sua pienezza di essere).

Il “nulla” ha un suo ruolo nel momento creativo immaginato dai cabalisti - che Scholem stesso sintetizza, pur con qualche contraddizione - con modalità che appaiono decisamente originali: «In molti passi dello Zòhar (...) l’improvviso passaggio dal Nulla all’Essere è rappresentato con il simbolo del punto primordiale (...) il principio dell’emanazione della “causa nascosta” è paragonato con il punto matematico, che col suo movimento genera la linea e la superficie (...) il punto primordiale - che risplende dal nulla - è il centro mistico intorno al quale si concentrano i processi della teogonia e della cosmogonia. Il punto che, in se stesso privo di dimensioni, sta tra il Nulla e l’Essere, serve così a rappresentare la “scaturigine dell’essere” (...) le stesse prime parole con le quali lo Zòhar introduce la sua interpretazione della storia della creazione descrivono (...) questo risplendere del punto originario, in questo caso veramente non dalla regione del nulla, ma da quella dell’eterea aura di Dio» (67).

Anche in un altro testo cabalistico del XIV secolo, si accenna al progressivo formarsi della linea nel passaggio dal Nulla all’Essere laddove il momento originario è definito come una «sottilissima essenza, dalla quale comincia a svilupparsi e a estendersi la linea retta» (68).

L’idea della formazione della linea nel momento stesso dello “scaturigine di ogni cosa” dal luminoso punto primordiale privo di colore che “sta tra il Nulla e l’Essere”, pretenderebbe arditissime interpretazione (69) e una disamina profonda del testo originale che ammettiamo tranquillamente di non essere in grado di fare. Sospendiamo perciò il giudizio sulle allusioni alla linea, che restano peraltro interessanti per l’originalità della proposta, ma nel frattempo non possiamo fare a meno di evidenziare un altro elemento che potrebbe essere utile per orientarci meglio circa “la manchevolezza in ogni essere”.

Un elemento che differenzia la Qabbalah non solo - lo vedremo più avanti - dal Chassidismo del XVIII secolo, ma anche dalla più diffusa mistica cristiana: il rifiuto radicale dell’ascetismo ed il significato dato al simbolismo sessuale.

Il rifiuto dell’ascetismo

La negazione del corpo non è contemplata nel mondo ebraico, se non in correnti storicamente minoritarie; la teologa Stefanie Knauss ha sottolineato come «per “trovare” il corpo nell’ebraismo non ci vuole molto: a buona ragione gli ebrei e le ebree sono stati chiamati “il popolo del corpo”» (70) dal momento che «non c’è nell’ebraismo l’ossessionante concetto che i rapporti sessuali siano, in qualche modo peccaminosi. Il corpo umano non è stato né divinizzato né rinnegato (…) Il fatto che la pratica del sesso sia accompagnata da intenso piacere è, per il credente, un’ulteriore prova della bontà di Dio» (71). Più esattamente ancora, «la rinuncia ai piaceri di questo mondo è tipicamente considerato un peccato di ingratitudine verso il Creatore» (72).

Conferma Scholem: «tipicamente ebraico è l’atteggiamento positivo verso la sfera dell’attività sessuale» (73) e, descrivendo le caratteristiche della Qabbalah medievale, conseguentemente aggiunge: «troviamo un netto contrasto, che pare abbastanza significativo per meritare di essere menzionato: la mistica non ebraica, nella quale l’ascesi sessuale era esaltata e propagandata come uno speciale valore, finiva col trasferire l’erotismo nella relazione di amore verso Dio; invece la mistica ebraica, che non apprezzava l’ascesi sessuale e non scorgeva nel matrimonio alcuna concessione all’imperfezione della carne finiva con lo scoprire il mistero del sesso in Dio stesso» (74).

Così anche «lo Zohar, e i testi che si richiamano ad esso, hanno il grande merito di aver mantenuta viva la valenza mistica dell’unione legittima tra uomo e donna e la concezione dell’atto sessuale come gesto fondante l’armonia del cosmo (...) Il piacere di quest’unione è pertanto il godimento del ritorno alle origini, la gioia di una condizione ritrovata e una pienezza mistica che attinge all’unità superiore (...) Con una logica e una sensibilità sorprendenti, per l’epoca medievale in cui è stato scritto, lo Zohar giunge a prescrivere per lo sposo l’obbligo di dare piacere alla propria compagna, giacché la moglie è il simbolo concreto della Shekinah (75) e la presenza divina dimora nella casa solo finché la donna vi rimanga in tutta la pienezza dei suoi attributi» (76).

In sintesi «l’ascesi sessuale non è stata mai considerata dai mistici ebrei un vero valore religioso» (77); al contrario è evidente che persiste anche in epoca medievale, quel particolare precetto talmudico chiamato onah (78) che impegna l’uomo a portare la donna al pieno godimento nel rapporto sessuale e con ciò a vivere la “pienezza dei suoi attributi”, in quanto soggetto, cioè, della sua identità femminile sessualmente matura a prescindere dallo stato di fertilità o meno e, quindi, dalla procreazione (79). Aspetto che ha indotto una storica contemporanea a fare un’affermazione particolarmente significativa: «la donna ebrea non sembra provare la dissociazione della donna cristiana sposa-madre integerrima o vile prostituta» (80).

Nel misticismo dei diversi ambiti religiosi vanno dunque evidenziate importanti differenze riguardo alla percezione della sessualità: «in contrasto con molti scrittori cristiani medievali che credevano che lo Spirito Santo non potesse essere presente mentre gli esseri umani erano impegnati nel rapporto sessuale, i cabbalisti (...) sostenevano esattamente l’opposto: il rapporto tra moglie e marito porta la Shekinah, la presenza divina, nel letto coniugale» (81).

Il che rimanda ad una diversità concettuale non trascurabile: nel mondo cristiano «l’uomo si avvicina al divino tanto più quanto più si allontana dalla corporeità, mentre nel pensiero mistico ebraico l’unione sessuale, se realizzata nel modo giusto, rende partecipe l’essere umano dell’opera di creazione, esprime la sua immagine divina e “attrae” il divino sulla terra» (82). La Qabbalah sembrerebbe aver trovato dunque una sua soluzione alla “manchevolezza di ogni essere” nel rifiuto di qualsiasi annullamento della corporeità sessuata e nell’esaltazione del rapporto con il femminile.

Alcuni secoli dopo troviamo al contrario un diverso, ben più drammatico, senso del “nulla” nell’ultima corrente del misticismo ebraico.

Il Chassidismo

«Come si procede dalla Qabbalah al Chassidismo le cose cambiano» (83) e mentre «la speculazione cabbalistica verte sul nulla di Dio, il Chassidismo (...) rifonda queste speculazioni cabalistiche in una modalità psicologica» (84). Il “nulla” progressivamente trasmigra dal creatore alle creature.

Anche nel Chassidismo si trova la corrispondenza tra “ayin” e il suo significato di “mistico nulla”, ma qui sembrano individuabili ampie contaminazioni derivanti dalla mistica cristiana: rimanda esplicitamente a Meister Eckhart (85) l’annichilimento dell’Io nel divino Nulla (ayin) proposto dal rabbino Dov Baer (1704-1772), uno dei primi esponenti del Chassidismo: «pensate a voi stessi come ayin e dimenticate la vostra stessa totalità. Allora potrete trascendere il tempo, ascendendo al mondo del pensiero, dove tutto è uguale: la vita e la morte, l’oceano e la terraferma» (86).

Secondo la Chabad, una scuola chassidica del tardo XVIII secolo, «lo scopo della creazione dei mondi dal Nulla (ayin) all’Essere (yesh) era che essi fossero trasformati dall’Essere (yesh) al Nulla (ayin)”» (87). La tradizionale creazione dal Nulla all’Essere della mistica ebraica medievale volge qui nel suo esatto opposto: tutto deve tornare al nulla originario e ciò viene interpretato come la “vera” finalità della Torah.

Una volta determinato che l’Essere è illusorio e che la verità è Nulla, corrispondentemente - e in buona misura per la stessa influenza cristiana già evidenziata - si trovano nel Chassidismo forme di misoginia e di sessuofobia poco diffuse nella tradizione ebraica che oggi riverberano nelle tendenze minoritarie dei cosiddetti haredim o ultraortodossi (88).

La mistica cristiana: Meister Eckhart


Meister Eckhart ha influenzato significativamente buona parte della cultura occidentale fino a tempi recenti: «è il grande maestro (...) la cui riflessione ha influenzato tanta parte della filosofia moderna e contemporanea, da Cusano ad Hegel e fino ad Heidegger» (89).

Ed è nei suoi testi che l’identificazione di Dio con il Nulla evolve verso la determinazione di un nulla totalizzante: «Quando San Paolo vide il nulla, allora vide Dio (...) [e] quadruplice è il senso della frase, dice Eckhart, quadruplice il senso del nulla. Il primo, quello decisivo e più dirompente, identifica Dio con il nulla (...) Il secondo, più ortodosso, è che chi vede Dio non vede “null’altro”. Il terzo, che ne consegue, è che vedere null’altro che Dio significa vedere null’altro che Dio in qualsiasi cosa. Il quarto è che qualsiasi cosa, dunque, è luogo del nulla, è nulla» (90). Qualsiasi cosa, anche dopo essere stata “creata”, è nulla.

Ma, ci avverte la psichiatria, «abbandonare il rapporto con il mondo significa perdere se stessi, cosa che con il nostro linguaggio dice che l’annullamento del mondo è l’annullamento di sé» (91).

La morte interiore. L’annullamento totale di “qualsiasi cosa”, di ogni realtà: si attiva così «l’istinto di morte nella sua realtà pulsionale di annullamento dell’esistente. Esistente che è, in primo luogo, la realtà materiale umana» (92).

Per Meister Eckhart l’essere umano deve cercare il più profondo “distacco” (93) - questa è la cifra più esatta del suo pensiero - da tutto ciò che attiene all’Io, che sia volontà, consapevolezza, coscienza, ma anche immaginazione, corporeità, passioni; il “distacco” eckhartiano va inteso come radicale «svuotamento dell’anima da tutti i contenuti che derivano dall’io, cioè dall’attività della creatura, che in modo del tutto illusorio può produrre alcunché di simile al divino, dal momento che è un puro nulla, al confronto del tutto di Dio» (94): il processo mistico porta, deve portare, la mente a realizzare il puro nulla in cui Dio, come nei processi pneumatici della fisica, venga attratto verso il proprio “fondo dell’anima”.

Si supera così anche il messaggio salvifico proposto dalla teologia di Paolo di Tarso, finalizzato a redimere l’umanità da quella colpa originaria su cui l’apostolo aveva costruito l’intera architettura concettuale del cristianesimo. Con l’eresia mistica di Meister Eckhart si va oltre: «Meister Eckhart scrive che l’amore per una creatura è in realtà amore di se stessi e da questo amore non si ricava che amarezza, giacché tutte le creature sono un nulla, dal momento che ricevono tutto il loro essere da Dio, e il contatto con il nulla non fa altro che male» (95).

È quasi sorprendente come il mistico tedesco abbia capito così profondamente che “il contatto con il nulla” è l’essenza di ciò che “fa male”, ma fallendo completamente l’interpretazione: non sono “le creature” ad essere “nulla”, ma, all’opposto, è proprio Dio, l’Essere inesistente misticamente identificato con il Nulla, a derivare ed essere espressione dalla più pura pulsione di annullamento, cioè proprio quel “nulla che fa male”: l’origine della malattia mentale. Così Eckhart propone il mistico Uno-Tutto, l’Uomo-Dio che realizza la sua onnipotenza nel rendere inesistente se stesso insieme al tutto che annulla: fare il nulla per trovare il Nulla nell’intimo di sé e di ogni essere.

Qui troviamo la matrice prima di tanta filosofia mitteleuropea - fino a Martin Heidegger e al progetto eliminazionista del nazismo - ed è anche il pensiero mistico che il Chassidismo, come abbiamo visto, ha assorbito e fatto proprio innestandolo su precedenti radici cabalistiche, ma stravolgendone il senso più profondo.

Quando l’uomo può dirsi Uno?


Se Meister Eckhart realizza l’onnipotenza dell’Uomo-Dio nel mistico Uno-Tutto, nello Zohar, facendo seguito all’idea che l’uomo è creato a immagine e somiglianza di Dio che è Uno, ci si chiedeva: quando l’uomo può dirsi Uno? La risposta fu che «[Dio] colma di benedizioni solamente il luogo in cui il maschio e la femmina sono congiunti. La Scrittura dice, infatti: li benedisse e diede loro il nome di Adamo; non dice: lo benedisse e gli diede il nome di Adamo (96), in quanto Dio benedice soltanto quando il maschio e la femmina sono uniti (...) Uno non può essere definito (adam) umano fino a che l’uomo e la donna non sono “uno”» (97); da cui consegue che «un (adam) uomo, senza una donna, non è un (adam) uomo» (98). Per questo i mistici dello Zohar sostenevano che «ciò che non vede uniti l’uomo e la donna non rappresenta l’immagine superna» (99) e ‘leggevano’ perciò l’immagine del divino - ciò che caratterizza l’umanità differenziandola dagli altri esseri viventi - non nel singolo essere umano, ma nell’unione di uomo e donna.

Il diverso portato antropologico delle due interpretazioni, veicolato dalle differenti tradizioni culturali e religiose, appare profondamente significativo.


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Note

[1] S. Givone, Storia del nulla, Laterza, Roma-Bari 1995, p. 56. La frase è di Meister Eckhart che, a sua volta, citava, modificandone il senso, una frase di Agostino: «Quando San Paolo non vide nulla, allora vide Dio», Sermone 279, 1. Il riferimento è all’accecamento dell’apostolo sulla via di Damasco.
[2] G. L. Prato, L’attuale ricerca sul monoteismo ebraico biblico, in G. Cereti (cur.), Monoteismo cristiano e monoteismi, Atti dell’VIII corso di aggiornamento per Docenti di Teologia dogmatica, Ass.ne Teologica Italiana, Roma 29-31/12/1997; Ed. San Paolo, Cinisello Balsamo 2001, p. 38. Corsivo mio.
[3] Ivi, p. 37. Corsivo mio.
[4] F. Della Pergola, Il problema dell’unicità e della trascendenza di Dio nella Bibbia ebraica, “Il sogno della farfalla”, n. 2/2014.
[5] «Monolatrìa: adorazione di un solo essere divino. Si distingue dal monoteismo in quanto non implica l’esplicita affermazione dell’unicità di Dio o la negazione di altre divinità», Enciclopedia Treccani in http://www.treccani.it/enciclopedia/monolatria/ Ricordiamo comunque le parole di Carlo Enzo che nega qualsiasi divinità all’Elohim biblico: «Che cos’è l’Elohim della Torah se non il popolo stesso che si è dato la sua costituzione, le sue leggi, i suoi imperativi morali?», A. Gnoli, Rileggere la Bibbia, “La Repubblica”, 28.12.2012.
[6] Carlo Enzo in F. Della Pergola, La Bibbia svelata. Intervista a Carlo Enzo, “left” n. 22/2014.
[7] «Questo uno e tutto, Senofane lo chiama Dio, e dimostra che è uno solo per il motivo che è assolutamente superiore a tutti gli esseri (...) e così dimostrò che esso è ingenerato ed eterno», G. Reale (cur.), I Presocratici, Bompiani, Milano 2006, p. 285.
[8] R. Radice, Platonismo e creazionismo in Filone d’Alessandria, Vita e Pensiero, Milano 1989, p. 145. Il “modello” è evidentemente il Thèos.
[9] C. Kraus Reggiani, Storia della letteratura giudaico-ellenistica, Mimesis Milano 2008, p. 139.
[10] G. Reale, Il pensiero antico, Vita e pensiero, Milano 2001, p. 415. Corsivo nell’originale.
[11] R. Radice, Platonismo e creazionismo in Filone d’Alessandria cit., p. 175.
[12] D. A. S. Fergusson, L’universo e il creatore, Claudiana, Torino 2002, p. 39.
[13] Dogma stabilito nel Concilio Lateranense IV (1215) e poi ribadito nel Concilio Vaticano I (1870).
[14] Filone, De opificio mundi 21, 22, in R. Radice, Platonismo e creazionismo in Filone d’Alessandria cit., p. 146.
[15] G. Reale, Il creazionismo come concetto-base e asse portante del pensiero di Filone di Alessandria, introduzione a R. Radice, Platonismo e creazionismo in Filone d’Alessandria cit., p. 22.
[16] In Maccabei II 7, 28 si afferma l’inesistenza della materia prima della creazione, ma in Sapienza 11, 17 invece se ne ribadiva l’esistenza. Entrambi questi testi fanno parte del canone cristiano, ma non di quello ebraico.
[17] G. Scholem (1970), Concetti fondamentali dell’ebraismo, Marietti, Genova-Milano 2005, p. 49.
[18] Nell’ebraismo «il discorso sistematico intorno alla creazione dal nulla è piuttosto tardo. Come dottrina, non è enunciata né nelle fonti bibliche né in quelle talmudiche», G. Laras, La natura nel pensiero ebraico, CUEM, Milano 2006, p. 95. Entrambe le versioni del Talmud sono state redatte entro il VI secolo d.C; nell’ebraismo il discorso sul nulla non può quindi essere anteriore a tale data.
[19] J. D. Barrow, Da zero a infinito. La grande storia del nulla, Mondadori, Milano 20143, p. 303.
[20] Ivi, pp. 302-303. Con “Basilide” si allude più ampiamente alla sua scuola di Antiochia; a Teofilo e Ireneo in particolare, da alcuni ritenuti i veri fondatori di tale dottrina.
[21] Già Paolo di Tarso per giustificare il suo volgersi verso il mondo non ebraico aveva affermato che il Dio dei greci era lo stesso di quello degli Ebrei, affermandone quindi l’universalità.
[22] Giovanni Paolo II, Udienza Generale, 12.09.1997; in Giovanni Paolo II (1985), Uomo e donna lo creò, Città nuova, Roma 20099, p. 34, nota 1. Il termine ebraico barà, presente nel primo capitolo del libro biblico della Genesi è tradotto da Scholem con “creare dal nulla” (Id., Concetti fondamentali dell’ebraismo, p. 46), ma lo stesso autore poco oltre scrive anche: «che le fonti bibliche parlino di una “creazione dal nulla” non è affatto scontato» (Ivi, p. 49). Traducendo barà Carlo Enzo intende invece più corretto il senso di “trarre dall’esistente”, riferendosi a una precedente esistenza di vita non soddisfacente (cfr. F. Della Pergola, Il problema dell’unicità e della trascendenza di Dio nella Bibbia ebraica cit.).
[23] Cfr. M. Gimbutas, Il linguaggio della dea, Venexia, Venezia 2008. Qui i termini “dea, dio, divino, religione” non hanno lo stesso senso “assoluto” preso in seguito all’affermarsi della teologia.
[24] Va notato che nella Bibbia ebraica «Dio è chiamato Padre soltanto nel suo duplice rapporto con il popolo di Israele e il suo re, mai in riferimento ad un individuo qualsiasi e all’umanità in generale», F. Ferrarotti (et al.), Le figure del Padre, Armando, Roma 2001, p. 63. Anche questa annotazione depone a favore di una lettura critica del presunto monoteismo biblico: se l'Elohim della Bibbia fosse il Dio assoluto della teologia, il termine sarebbe usato per indicare la "paternità" di tutta l'umanità, non solo del popolo di Israele.
[25] E. Cantarella, L’amore è un dio, Feltrinelli, Milano 2007, p. 139. Il passaggio dalla divinizzazione della figura femminile a quella maschile è da connettersi con le prime forme di domesticazione delle piante quando il seme interrato nella terra recettiva, ma pensata inerte, dava origine ad un nuovo germoglio; l’idea di una “superiorità” maschile potrebbe derivare invece dalla domesticazione animale, quando la “potenza generatrice” era individuabile nel maschio che poteva ingravidare contemporaneamente molte femmine, mentre una singola femmina poteva generare solo un numero limitato di nuovi nati.
[26] F. Fagioli, Dall’idea del nulla all’idea di essere: un cammino zoppicando con il pensiero filosofico e la ricerca psichiatrica fra malattia e sanità della mente umana, in “Il sogno della farfalla” n. 3/2001, Nuove Ed. Romane, Roma 2001, p. 9.
[27] G. Busi-E. Loewenthal, Mistica ebraica cit., p. IX.
[28] In questo studio non ci si occupa del misticismo dell’Estremo Oriente cui a volte la definizione di “religioso” potrebbe andare stretta.
[29] Qui, come nell’Islàm, il dualismo è cosmologico: «il pensiero ebraico distingue con cura tra l’essere assoluto e il mondo fisico, afferma la realtà del mondo fisico e la realtà dell’essere assoluto, distinto dal mondo fisico», E. Riva, Pensiero ebraico, in http://www.filosofico.net/filosofiaebraica. htm
[30] M. Vannini, La mistica delle grandi religioni, Le Lettere, Firenze 20142, p. 46. Parlare di “opposizione”, nel senso proprio del termine, fra sacro e profano non è corretto a proposito di ebraismo, ma non è argomento che possa essere chiarito in questo contesto.
[31] Ivi, p. 53.
[32] M. Vannini, Storia della mistica occidentale, Mondadori, Milano 1999, pp. 92-93.
[33] Filosofo tedesco (1897-1982) di famiglia ebraica assimilata, è stato l’antesignano degli studi sul misticismo ebraico e un sionista di simpatie socialiste. Nel 1923 si trasferì in Palestina dove insegnò all’Università Ebraica di Gerusalemme.
[34] G. Scholem, La Cabala, Ed. Mediterranee, Roma 1992, p. 43.
[35] Traslitterata in molti modi è una «parola ebraica che significa propriamente “ricezione” (...) a indicare il ricevimento che una generazione fa della tradizione trasmessa da un’altra», E. S. Artom in http: //www.treccani.it/enciclopedia/qabbalah_ %28Enciclopedia-Italiana%29/
[36] M. Vannini, La mistica delle grandi religioni cit., p. 171.
[37] «Come può Dio creare dal nulla se non può esservi un nulla, dato che il suo Essere penetra ogni cosa?», G. Scholem, Le grandi correnti della mistica ebraica, Einaudi, Torino 1993, p. 271.
[38] Ivi, p. 262. Ebbe inoltre ad una notevole influenza sugli ambienti umanistici europei che ne snaturarono l’originale essenza giudaica a favore di una sua sostanziale cristianizzazione.
[39] In particolare dalle comunità dell’est europeo sanguinosamente coinvolte dalla rivolta antipolacca dei cosacchi.
[40] L’ambiente chassidico è stato descritto dal romanziere americano premio Nobel, Isaac B. Singer. Fra i suoi racconti più noti vi è Yentl da cui è stato tratto un noto film con Barbra Streisand.
[41] Le controversie non nascevano da un rifiuto del misticismo in sé, ma da profonde diversità interpretative.
[42] M. Vannini, La mistica delle grandi religioni cit., p. 187.
[43] G. Scholem, Concetti fondamentali dell’ebraismo cit., p. 43.
[44] «Non sanno dunque i miscredenti che i cieli e la terra formavano una massa compatta? Poi li separammo e traemmo dall’acqua ogni essere vivente», Sura XXI, Al-Anbiyâ' (I Profeti), vers. 30.
[45] G. Scholem, Concetti fondamentali dell’ebraismo cit., p. 55, nota 23.
[46] «Per mezzo della sua potenza, Dio ha fatto esistere ciò che non esisteva, e rendendola qualcosa dopo che era stato nulla», W. M. Watt, Islamic Creeds: A Selection, Edinburgh Univ. Press, Edimburgo 1994, p. 76, in Fergusson, L’universo e il creatore cit., p. 46.
[47] M. Mottolese, Inizio come renovatio cit.
[48] D. C. Matt, Ayin: The Concept of Nothingness in Jewish Mysticism in R. K. Forman, The Problem of Pure Consciousness, Oxford University Press, New York 1990, p. 131. Trad. mia.
[49] G. Scholem, Concetti fondamentali dell’ebraismo cit., pp. 54 e ss. Corsivi miei.
[50] A. Ghisalberti, Conoscere negando in AA.VV. La differenza e l’origine, Vita e pensiero, Milano 1987, p. 20.
[51] «l’Uno, per i Neoplatonici (...) può essere conosciuto solo per viam negationis», E. Chiti, Teologia negativa, Univ. di Siena, Facoltà di Lettere e Filosofia, Manuale di Filosofia Medievale on-line.
[52] Anonimo teologo e filosofo bizantino vissuto tra V e VI secolo, rilevante negli ambiti del misticismo cristiano medievale al punto da essere «praticamente onnipresente nella riflessione di Eckhart», G. Perillo, Dio è il Nulla, né questo né quello. La via di Eckhart, Atti “L’ambivalenza del Nulla, tra negazione dell’umano e apertura al divino”, Univ. Pontificia Salesiana, Roma 26.02.2009.
[53] S. Givone, Storia del nulla cit., p.56, nota 48.
[54] G. Scholem, Concetti fondamentali dell’ebraismo cit., p. 56.
[55] Ivi, p. 57-58.
[56] Ibid. La Teologia di Aristotele, detta anche Discorso sulla signoria divina (al-Qawl fī-alā l-rubūbiyya) è considerata opera di un anonimo Pseudo-Aristotele arabo o attribuita al cosiddetto “circolo” di al-Kindi.
[57] Ibid.
[58] Ivi, pp. 58-59. Fu questo monaco irlandese, traduttore dello Pseudo Dionigi in latino, a permeare la mistica cristiana successiva.
[59] Ivi, p. 62.
[60] Lo Zòhar o Libro dello Splendore fu la maggiore opera del misticismo cabalistico; redatta verso la fine del XIII secolo, si affermò poi come libro sacro di importanza non inferiore alla Bibbia o al Talmud.
[61] G. Scholem, Le grandi correnti della mistica ebraica cit., p. 227.
[62] Curiosamente in Heidegger e gli ebrei, Bollati Boringhieri, Torino 2014, p. 217 e ss., la filosofa Donatella Di Cesare sembra invece affermare che la “creazione dal nulla” sia stato un pensiero originale dei cabalisti. Da qui l’autrice deduce una “convergenza”, sul concetto di Nulla, tra Qabbalah e pensiero di Heidegger, pur ricordando il suo, ben più rilevante, debito verso Meister Eckhart. A questo proposito si veda P. Stagi, Il giovane Heidegger. Verità e rivelazione, Zikkurat, Teramo 2010, p. 31, in part. nota 73.
[63] G. Scholem, Le grandi correnti della mistica ebraica cit., p. 227. Corsivo mio.
[64] A questa frase di Scholem si è riferito (confermato in corrispondenza privata) il matematico Paolo Zellini in La mistica della fisica, “La Repubblica”, 30.08.2015.
[65] G. Scholem, Concetti fondamentali dell’ebraismo cit., p. 73. Corsivo mio.
[66] Ibid. Corsivo mio.
[67] Ivi, p. 228. In corsivo le contraddizioni del testo.
[68] Ivi, p. 252, nota 44.
[69] Ricordiamo qui, solo di sfuggita, anche se potremmo trovarci di fronte ad una mera assonanza, che la possibilità originaria di fare la linea è, come evidenzia Massimo Fagioli, all’origine della vita umana: «La luce attiva la rètina e fa la vita umana che inizia con venti secondi di silenzio della realtà biologica. È fantasia di sparizione, non è immagine definita, è capacità di immaginare. È linea che farà scrittura», M. Fagioli, Left 2011, L’Asino d’oro, Roma 2014, p. 20. La possibilità/capacità di fare la linea è quindi una delle caratteristiche specifiche dell’essere umano. Sui concetti attinenti alle primissime caratteristiche della vita umana lo psichiatra ha in corso una profondissima ricerca terminologica che, peraltro, non modifica in alcun modo la struttura della sua teorizzazione come espressa nei suoi primi tre fondamentali libri.
[70] S. Knauss, La saggia inquietudine: il corpo nell’ebraismo, nel cristianesimo e nell’islàm, Effatà Ed., Cantalupa (TO) 2011, p.25.
[71] L. Caro, Considerazioni generali sulla sessualità nel mondo ebraico, “La Sessualità. Aspetti religiosi, culturali, sociologici e sanitari”, Convegno di studi, 02.04.1995, Ed. Cassa di Risparmio di Ferrara, Ferrara 1996, pp. 15-19.
[72] D. M. Feldman (1968), Birth control in Jewish Law, Jason Aronson Inc., Northvale (USA) 19983, p. 82.
[73] G. Scholem, Le grandi correnti della mistica ebraica cit., p. 241. La frase termina con un «se contenuta in limiti santi» che pretenderebbe un chiarimento su questi “limiti santi” nell’ebraismo - in particolare sul concetto di impurità rituale - per evitare che essi possano essere confusi con la “santità” ascetica (perché sessuofobica) della tradizione cristiana. Per questa possibilità di equivoco ho deciso di omettere la frase dal testo corrente, ma aggiungendo in nota il necessario chiarimento.
[74] Ibid.
[75] «Nella letteratura cabbalistica rappresenta il principio femminile nell’ambito delle sefirot», G. Busi-E. Loewenthal, Mistica ebraica cit., p. 681.
[76] Ivi, p. LI.
[77] Ibid.
[78] Da non confondere con Onan, personaggio biblico da cui deriva il termine “onanismo”.
[79] «l’onah riguarda le donne; gli uomini non hanno diritti analoghi, come accade nel caso dei doveri coniugali di cui parla Paolo», D. Biale, L’eros nell’ebraismo, Giuntina, Firenze 2003, p. 87. I doveri coniugali della tradizione occidentale si sono poi notoriamente fondati - a partire da Paolo di Tarso - sulla necessità del matrimonio come remedium concupiscentiae.
[80] A. Scandaliato, L’ultimo canto di Ester. Donne ebree del Medioevo in Sicilia, Sellerio, Palermo 1999, p. 19.
[81] D. Biale, L’eros nella Bibbia cit., p. 147. In un breve testo cabbalistico, che ebbe larga diffusione nel XIII secolo, Iggeret ha-Qodesh (La Lettera sulla Santità), si dice: «Se dicessimo che la congiunzione carnale è cosa oscena, ne deriverebbe che gli organi della copula sono organi della vergogna. Ma ecco che è stato il Signore benedetto a crearli (...) dunque come avrebbe potuto il Signore benedetto creare alcunché di malformato, osceno o difettoso?», G. Busi-E. Loewenthal, Mistica ebraica cit., p. 422.
[82] M. Perani, in F. Della Pergola, Rapporto uomo-donna ed erotismo: l’antica visione ebraica. Intervista a Mauro Perani, “Quaderni Radicali” n.102, 2008. Dove per “pensiero mistico” si intenda quello della Qabbalah, non quello chassidico.
[83] D. C. Matt, Ayin: The Concept of Nothingness in Jewish Mysticism cit., p. 121. Trad. mia.
[84] D. C. Matt, God & the Big Bang, Jewish Lights Publishing, Woodstock (USA) 20157, p. 74. Trad. mia.
[85] Eckhart von Hochheim (1260-1328), fu teologo, predicatore domenicano, filosofo e mistico; accusato di eresia, morì poco prima dell’inizio del processo. Alcune sue tesi furono condannate nel 1329 da papa Giovanni XXII con la bolla In agro dominico.
[86] D. C. Matt, God & the Big Bang cit., p. 75. Trad. mia.
[87] Ivi, p. 77. Trad. mia.
[88] «Per essi lo scopo esclusivo del rapporto sessuale è la procreazione e in esso il piacere non deve avere alcun ruolo», M. Perani, Ebraismo e sessualità fra filosofia e Qabbalah cit. Gli haredim sono oggi circa il 6-7% del mondo ebraico.
[89] M. Vannini, Meister Eckhart e “il fondo dell’anima”, Città Nuova, Roma 1991, sinossi. Cfr. anche «Fu Hegel a vedere nel pensiero di quel maestro medievale il proprio pensiero. Non capiremmo nulla della sua dialettica senza la riflessione di quel grande mistico. D’altra parte, Heidegger confessò alla fine della sua vita, che il pensiero di Eckhart lo aveva occupato a lungo», G. Gnoli, Il silenzio dell'anima, intervista a Marco Vannini, “La Repubblica”, 30.03.2013.
[90] S. Givone, Storia del nulla cit., pp. 56-57.
[91] A. Masini, Dall’idea del nulla all’idea di essere: un cammino zoppicando con il pensiero filosofico e la ricerca psichiatrica fra malattia e sanità della mente umana, in “Il sogno della farfalla” n. 3/2001, Nuove Ed. Romane, Roma 2001, p. 12.
[92] M. Fagioli (1980), Bambino donna e trasformazione dell’uomo, L’Asino d’oro, Roma 2013, pp. 82-83.
[93] Cfr. M. Vannini, Meister Eckhart e il fondo dell’anima, Città Nuova, Roma 1991.
[94] E. Chiti, Meister Eckhart, Manuale di Filosofia Medievale on-line, Univ. Di Siena in http://www3.unisi.it/ricerca/prog/fil-med-online/autori/htm/eckhart.htm
[95] M. Vannini, Meccaniche divine, “L’Osservatore Romano”, supplemento “Donne, Chiesa, Mondo”, gennaio 2016.
[96] Questo pensiero si fonda sulla lettura del primo capitolo della Genesi: «Dio creò l’uomo (ha-‘adam) a sua immagine; a immagine di Dio lo creò; maschio e femmina li creò». Fu dunque questo unico uomo/donna ad essere chiamato ha-‘adam. Il secondo capitolo descrive invece la creazione della donna dalla costola dell’uomo. La lettura cristiana ha sempre ritenuto che «il contesto più prossimo alle altre parole di Cristo (...) è il cosiddetto secondo racconto della creazione dell’uomo (Gen 2, 5-25)», Giovanni Paolo II, Udienza Generale del 12.09.1979.
[97] D. C. Matt, The Zohar, Vol. 1, folio 55b, Pritzker, Stanford Univ. Press, Stanford (CA) 2004, p. 314. Corsivi miei, trad. mia.
[98] Ibid, nota 1537.
[99] Ibid. A questa interpretazione corrisponde la concezione cabalistica che Dio abbia una doppia natura, maschile e femminile.

2 commenti:

  1. Gli ho dato solo una scorsa,interessante come sempre. Poi me lo leggo con moooooolta calma. Grazie Fabio

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  2. Grazie GC. Fai pure con tutta la calma che ti serve. Chi ci corre dietro?!

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